Coaching e Team Scrum: riflessioni per affrontare la sfida del cambiamento
20 Ottobre 2022

Dopo una breve pausa estiva, riprende l’Agile Reloaded Route. Lasciamo l’isola del set up e giungiamo, così, nel continente dell’operatività. A causa di alcuni “lavori in corso” incontrati lungo il percorso, con questo articolo atterriamo direttamente nella città di Meccaniche avanzate (ma continuate a viaggiare con noi: presto i lavori saranno terminati!)
Giovedì 29 settembre 2022, ha avuto luogo un meetup a quattro mani condotto dai nuovi esperti reloaders Beatrice Bottini e Marco Massarotto. Come Agile Coach, ogni giorno accompagnano i team Scrum nell’affrontare la sfida del cambiamento e li accomuna il desiderio di migliorarsi continuamente, così da essere più efficaci nell’aiutare i team a crescere.
E proprio questo era lo scopo del meetup: condividere con i partecipanti riflessioni e lessons learned nate da esperienze sul campo, per affrontare al meglio la sfida del cambiamento.
Iniziamo ricordando il primo valore del Manifesto Agile:
Gli individui e le interazioni più che i processi e gli strumenti.
L’interazione tra individui è un aspetto chiave! E su questo si sono concentrati Marco e Beatrice, apportando rispettivamente alcune riflessioni metodologiche e altre legate all’approccio di coaching.
Dunque, entriamo nel vivo del tema.
Scrum 3-D: l’indipendenza dei ruoli
Utilizzando una metafora cartesiana – perché la metafora, si sa, ha un impatto visivo e valore mnemonico importante – Marco domanda:
Perché esistono le imprese?
Ci sono molte possibili risposte, dal momento che ogni impresa ha una propria ragione d’essere: un “purpose“, un “why“. Ciò che, tipicamente, le organizzazioni traducono verso l’esterno con un’offerta di prodotti e servizi: il “what we do“.
Ogni impresa, poi, ha ben chiara la necessità di dover possedere delle competenze e delle risorse, necessarie per generare i suddetti prodotti e/o servizi: il “by what we do“, come ad esempio: persone, conoscenze, tecnologie, investimenti, ecc.
Fin qui, nulla di nuovo: le dimensioni del “what” e del “by what” sono ben note e chiare anche alle imprese più tradizionali.
Ma c’è una 3ª “nuova” dimensione: la cultura che si stabilisce nell’impresa, l’”how we do it“.
Una dimensione tradizionalmente implicita: la gerarchia, la divisione delle funzioni, i dipartimenti, i budget annuali, la gestione del tempo, sono elementi ad oggi così normali che nessuno ci si sofferma più. In realtà fondamentale, poiché riguarda il modo in cui persone e risorse interagiscono tra loro per creare i prodotti e servizi richiesti.
Proprio qui, l’agilità irrompe! In primis, mettendo in evidenza questa dimensione. In secundis, proponendosi come alternativa.
Giungiamo all’asse cartesiano a 3 dimensioni. Le tre dimensioni sono ortogonali tra loro: indipendenti. Allo stesso modo, lo sono i concetti di “what“, “by what” e “how“.
Quindi, che c’entra Scrum?
I 3 ruoli Scrum possono essere facilmente mappati sulle 3 dimensioni illustrate:
- What we do it, l’asse delle x, indicherà il Product Owner
- By what we do it, l’asse delle y, il Team DevOps
- How we do it, l’asse delle z, lo Scrum Master
Otteniamo finalmente il modello Scrum 3-D, utile per chiarire la responsabilità ed il significato specifico di ogni ruolo e per evitare di fare confusione.
Il coach può usare questo modello ogni qualvolta i ruoli si sovrappongono, non hanno chiaro il loro ambito, ecc. La metafora può aiutare a mettere tutti ai propri posti!
Marco conclude con alcune riflessioni di stampo metodologico:
- Le differenze tra i ruoli sono assolutamente volute, dunque rispettiamoci. Potete (ed è giusto farlo) ricordare i ruoli come indipendenti.
- Il paradigma organizzativo-culturale viene stravolto dall’arrivo dell’agilità, che irrompe mostrando un nuovo modo di fare.
- Lo Scrum Master è essenziale, non è un ruolo sul quale risparmiare o di cui poter fare a meno.
Passiamo ora a riflessioni più orientate al coaching (ma sempre restando legati alle forme geometriche)…
3 aspetti che un coach non può trascurare
Nelle aziende possono verificarsi in particolare 3 “dinamiche infelici”:
- Può capitare di respirare un clima di elevato giudizio: da parte dei membri del team, degli stakeholder, dei capi o addirittura da parte degli stessi Agile Coach e Scrum Master.
- Così come talvolta può manifestarsi una diffusa mancanza di fiducia: da parte dei team o dagli stessi coach.
- O anche, si possono riscontrare dinamiche di command and control, messe in atto dagli stessi coaches nei confronti dei coachee, per imporre determinate strategie, pratiche agili, framework, strumenti.
La forte partecipazione del pubblico ha poi permesso di mettere in luce anche altre dinamiche scomode che possono verificarsi all’interno di una realtà aziendale: la comunicazione nel team, che è sempre una sfida; le polemiche tra le persone; agile coach scambiati per project manager; e via dicendo…
Beatrice condivide a questo punto qualche riflessione da coach professionista, proponendo tre principi su cui basare l’approccio al Coaching. Cioè tre aspetti fondamentali che un coach, quale agente di cambiamento e apprendimento, non può trascurare nell’accompagnare un team.
- In primo luogo, un coach dovrebbe in prima persona favorire la sospensione del giudizio: da un lato, adottando un atteggiamento di ascolto e osservazione non giudicante; dall’altro, aiutando il team a fare lo stesso per creare opportunità continue di apprendimento.
- Dal punto di vista della fiducia, sono diversi gli accorgimenti che un coach dovrebbe adottare:
- avere e dimostrare fiducia, esprimendo questo sentimento nei confronti del team e dei coachee, attraverso atteggiamenti di apprezzamento e incoraggiamento nelle loro capacità;
- curare le relazioni per favorire la costruzione di un ambiente caratterizzato da sicurezza psicologica;
- agire oltre i confini del piano razionale, cercando di creare più connessioni possibili su più livelli per tutte e tre le funzioni: da quelle corporee, al sentimento emotivo, fino a quelle del linguaggio e del pensiero;
- aprire una finestra anche su altre dimensioni dell’essere umano, sia creando uno spazio di ascolto emotivo del team, al fine di comprendere meglio le persone e i loro bisogni, in quel momento; sia introducendo attività che prevedono l’uso del corpo;
- creare momenti di collegamento umano e climi relazionali rassicuranti, in cui le persone possano esprimere le loro vulnerabilità e fidarsi;
- favorire l’equilibrio tra individuo e gruppo, poiché da un lato l’individuo aiuta a raggiungere gli obiettivi condivisi, dall’altro lato vogliamo che la dinamica di gruppo sia un’esperienza costruttiva e di crescita per l’individuo
Infine, in sede del vertice della scelta, il coach dovrebbe far scegliere al team,rendendolo il decision-maker del suo movimento, responsabilizzandolo rispetto al suo percorso di crescita e apprendimento; e contemporaneamente, lavorando alla costruzione di un ambiente favorevole al miglioramento continuo.E’ importante lasciare degli spazi di scelta rispetto agli obiettivi del team.
Conclusione
Sono tante e diverse le dinamiche che un coach si trova a dover affrontare.
Le riflessioni e linee guida condivise dai nostri esperti non sono sicuramente le risposte definitive, ma offrono un punto di partenza per iniziare ad acquisire determinati atteggiamenti e creare le condizioni necessarie per permettere anche agli altri di farlo.
E voi, cosa ne pensate?
Risorse
- Board mirò del meetup,
- J. Liss, La comunicazione ecologica. Manuale per la gestione dei gruppi di cambiamento sociale
- Pino De Sario, Facilitazione
- Tim Gallwey, The Inner Game of Tennis
- T. Gallwey, The Inner Game of Work
- D. J. Siegel, La mente relazionale
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