La Community of Practice: apprendere insieme

La Community of Practice: apprendere insieme

In una società sempre più dinamica e affollata da piccole realtà nascenti, le organizzazioni necessitano di strumenti che permettano loro di rimanere innovative e attraenti, di essere sempre aggiornate e di adattarsi più velocemente ai nuovi cambiamenti di mercato.

La soluzione a queste nuove sfide si cela nella creazione di organizzazioni che apprendono (learning organisations): realtà per le quali la formazione delle persone – individuale e di gruppo – e la capacità di apprendimento continuo sono considerati fattori chiave per il miglioramento dell’intera organizzazione.

Ma come possiamo rendere l’apprendimento una pratica costante e consolidata all’interno della cultura dell’organizzazione?

Un modo molto efficace è iniziare a dotarsi di Communities of Practice: “spazi sicuri” in cui le persone possano imparare insieme, mettendo in pratica o approfondendo le nozioni teoriche acquisite in cambio di feedback costruttivi, tra pari o con professionisti. 

 

Cos’è una CoP: origini e definizione

Il termine Community of Practice venne usato la prima volta da due antropologi, Jean Lave ed Etienne Wenger, mentre studiavano l’apprendistato come modello di apprendimento – come concetto che va oltre la mera rappresentazione della relazione studente-maestro, indicando invece un insieme complesso di relazioni, secondo cui l’apprendimento avviene attraverso il confronto con operai avanzati e professionisti del settore -. 

Nel libro “Introduction to community of Practice”, Wegner definsce le Communities of Practice come:  

…groups of people who share a concern or a passion for something they do and learn how to do it better as they interact regularly
(…gruppi di persone che condividono una preoccupazione o una passione in qualcosa e che imparano come farlo meglio interagendo regolarmente)

[Wegner -Trayner]

(Ad oggi, il termine Community of Practice non trova ancora un corrispettivo adeguato in lingua italiana).

 

La Community of Practice nei contesti aziendali

Dal loro primo utilizzo in ambito psicologico-accademico, sono poche (se non totalmente assenti) le testimonianze dell’esistenza di Communities of Practice all’interno di realtà aziendali. 

O almeno, fino alla comparsa di Agile.

Perché?

Una spiegazione potrebbe essere la seguente. 

Prima dell’avvento della metodologia Agile, le persone non mettevano troppo in discussione l’organizzazione del lavoro. Le aziende, tendevano ad adottare modelli organizzativi simili, radicati nella cultura vigente – erano per lo più strutturate in silos, caratterizzate da verticalità ed elevata specializzazione. L’apprendimento avveniva tramite affiancamento e assimilazione automatica delle competenze.

L’agilità irrompe sul mercato come nuovo approccio, definendo da sé i propri principi, valori e pratiche: ne emerge una nuova base di conoscenza (knowledge base), diversa dalla tradizionale, che spinge le persone ad interrogarsi: 

Ed ora, come ci organizziamo?  

Dalla voglia di apprendere e comprendere l’Agile, spinte dal desiderio di voler fare meglio, le persone hanno iniziato a riunirsi abitualmente per condividere ciò che man mano si scopriva sull’agilità, sui suoi suoi valori e sulle sue applicazioni (“Fare di necessità virtù”). 

Sono questi i primi esempi di Communities of Practice in ambito aziendale.

 

Perché la CoP è importante: lo spazio sicuro

La Community of Practice (CoP) raggruppa un insieme di persone che condividono un medesimo ruolo, una passione, delle sfide simili o, più semplicemente, l’interesse verso uno stesso argomento. Tutti coloro che formano la CoP si riuniscono per raggiungere, insieme, obiettivi sia individuali che di gruppo.

Il loro scopo è quello di fornire uno spazio sicuro per:

  • accrescere le competenze e di metterle a fattor comune; 
  • condividere buone pratiche, lessons learned e problemi risolti; 
  • cercare soluzioni insieme. 

Le CoP favoriscono quel processo di condivisione che amplia la prospettiva delle situazioni e accelera l’apprendimento, rappresentando in questo modo un’importante opportunità di crescita sia per il singolo, sia per l’azienda.

Lo spazio sicuro

Per funzionare in modo efficace e raggiungere il proprio obiettivo, una CoP deve reggersi su alcuni valori che tutti i membri sono chiamati a rispettare:

  • CondivisioneCommunity of Practice valori
  • Rispetto per l’altro e per gli appuntamenti
  • Generosità 
  • Gratitudine
  • Assenza di giudizio
  • Focus elevato
  • Capacità di ascolto
  • Collaborazione

Inoltre, la buona interazione del gruppo può favorire l’emergere di un’intelligenza collettiva: i talenti del singolo, messi al servizio della comunità, interagiscono generando un talento maggiore (effetto moltiplicativo).

La pratica di tutti questi valori, insieme ad una forte intelligenza collettiva, contribuiscono a creare quello spazio sicuro che caratterizza una Community of Practice.

 

Quando e dove: il contesto organizzativo di una CoP

Due sono le strategie attraverso le quali una Community of Practice può essere creata:

  1. Bottom Up
  2. Top Down 

Molto spesso la necessità di una CoP viene dal basso (genesi bottom-up): le stesse persone che la creano vi partecipano attivamente. In questi casi, la motivazione e l’impegno sono alti, ottimi ingredienti per il successo dell’iniziativa.
Ma non basta…
Affinché possa essere efficace e sostenersi nel tempo, una CoP di natura bottom-up ha bisogno di un “appoggio dall’alto” (ad esempio, di un manager che ne comprende il valore e la sponsorizza): un passaggio non facile, poiché l’investimento si tempo richiesto dalla Community of Practice entra inevitabilmente in conflitto con altre iniziative aziendali.
Chi vincerà?

Altre volte, invece, le CoP sono imposte “dall’alto” (genesi top-down): chi le crea indica e invita altri di parteciparvi. Spesso, questa impostazione determina la formazione di Comunità forzate e prive di vigore. Per prosperare, le CoP di natura top-down devono riuscire a riconoscere e a connettersi con il vissuto e la motivazione dei partecipanti.

Per entrambe le situazioni, tutto dipende dallo spirito della motivazione ad apprendere delle persone: da come i membri del gruppo, considerati individualmente, vivono la prima esperienza all’interno di una comunità.

Community of Practice efficaci possono nascere all’interno di piccole-medie imprese, dove siano presenti più persone a rivestire i diversi ruoli aziendali.
Oppure in grandi organizzazioni. In quest’ultimo caso, incoraggiare la creazione di CoP inter-team o inter-dipartimento favorisce l’abbattimento dei silos e delle strutture a compartimenti stagni, migliora la comunicazione e rende più fluido il processo produttivo

Durante una trasformazione o un percorso di agilizzazione all’interno di un’organizzazione, a seguito dell’implementazione delle meccaniche di base, creare Community of Practice risulta essere la strategia più efficace per permettere di applicare le nuove pratiche apprese e di confrontarsi su eventuali problematiche.

 

Il ciclo di vita di una CoP

Il modello di Tuckman

Secondo la letteratura, il ciclo di vita di una Community of Practice ricalca il modello a cinque stadi che lo studioso Tuckman elaborò come rappresentazione del “divenire” di un gruppo. Nel contesto di una CoP, le cinque fasi del modello originale vengono sostituite da altre peculiari a questo tipo di comunità. Si avranno dunque le fasi di:

  • Potential. Le persone sentono l’esigenza di aggregarsi, ma hanno bisogno di una guida esterna. La CoP è potenziale.
  • Forming. Il gruppo inizia a formarsi: i suoi membri, ancora guidati da un leader, testano il terreno relazionale e iniziano a collaborare.
  • Maturing. Il gruppo acquista maggiore fiducia, ma c’è bisogno di regole di comportamento; il sostegno esterno resta, per controllare eventuali momenti di stanchezza; ma le persone iniziano a produrre in maniera indipendente. 
  • Self-sustaining. La CoP è totalmente indipendente e si auto-alimenta: non c’è più bisogno di una guida esterna, ora sono gli stessi membri del gruppo che si auto-organizzano per raggiungere i propri obiettivi. 
  • Transformation. La Community of Practice ha raggiunto il suo obiettivo la CoP diventa qualcos’altro: può accadere che venga meno la necessità di esistere del gruppo, che ci sia una crisi o che la CoP si trasformi in un team di lavoro permanente. 

Si tratta di una rappresentazione sicuramente condivisibile: ogni forma di aggregazione tra persone necessita di fasi da seguire, di un ordine e di regole. Ma non dobbiamo dimenticare che proprio perché la Community of Practice coinvolge le persone, il modello appena descritto potrebbe risultare troppo lineare.

 

In arrivo

In questo contesto, abbiamo approfondito la loro storia e le caratteristiche salienti di una Community of Practice. Ma come si struttura una CoP? Chi vi partecipa? Quali sono i rischi e i benefici di questa pratica? Di questi e altri punti parleremo in un secondo articolo.

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