Il co-facilitatore vive in uno spazio liminale con 7 ½ dimensioni aggiuntive

Il co-facilitatore vive in uno spazio liminale con 7 ½ dimensioni aggiuntive

L’autore di questo articolo è Francesco Bianchi: formatore autorizzato ICAgile, docente del corso Agile Team Facilitator erogato in partnership con AWA Global.

Un eroe silenzioso: il co-facilitatore

La Facilitazione è una disciplina che molti ancora non capiscono – e di conseguenza faticano ad apprezzare. La maggior parte di “quelli che sanno” non si è ancora accordata sul fatto che la Facilitazione sia una disciplina piuttosto che un’abilità piuttosto che un’arte.
A dirla tutta, non sono nemmeno sicuro che sia una buona cosa trovare una definizione precisa di Facilitazione, visto che i migliori facilitatori spesso trascendono una singola definizione e operano, invece, in uno spazio liminale che si estende attraverso multiple dimensioni.

Ritengo questo sia ancora più vero per quanto riguarda quegli eroi silenziosi e spesso dimenticati che portano la Facilitazione ad un livello tutto nuovo: i co-facilitatori.
Sebbene sia vero che un facilitatore esperto può cavarsela con un gruppo di centinaia di persone, c’è anche molto che sarebbe meglio non lasciare ad una persona sola: come il prendersi cura del processo su larga scala, per esempio, ricordandosi cosa era stato definito durante la fase di design ed essendo capaci di adattare il piano iniziale a quello che sta succedendo in tempo reale. Modulare il passo e il livello di energia per allinearsi a ciò di cui i partecipanti hanno bisogno, mentre gestiamo le emozioni, è una sfida abbastanza grande da tenerci ben che occupati.

È qui che fa la sua entrata il co-facilitatore. O co-ospite. O produttore. O, nell’universo online, l’ospite al supporto tecnico. E ovviamente il co-facilitatore potrebbe essere un ruolo collettivo ricoperto da un insieme di persone.

Ma cos’è che fanno questi fantasmi benevoli mentre operano nascosti in piena luce?

Credetemi: c’hanno un sacco da fare. Lasciamo da parte per un’altra volta la facilitazione di sessioni remote o (bang!) ibride (boom!). Per questa volta occupiamoci qui soltanto di facilitazione in presenza. E posso già pensare ad almeno 7 dimensioni e mezza che un facilitatore può aggiungere a quelle standard.

1 – Essere consapevole di cosa è previsto per dopo

Un facilitatore è riconosciuto come qualcuno che ha poteri speciali. I partecipanti tendono ad attribuire a questa figura un certo livello di autorità. Quando un facilitatore parla, prima o poi tutti finiranno per prestargli attenzione. L’istinto della maggior parte dei partecipanti è di fare ciò che viene detto loro di fare quando il facilitatore “dà istruzioni”. Questo aiuta a mantenere l’ordine e un certo flusso. Ma a volte quel flusso non funziona bene. A volte un gruppo ha bisogno di più tempo per esplorare un argomento.
Ma è appropriato espandere una sezione, sacrificando quel che era già stato pianificato per dopo?

Molto difficile dire a cosa si sta rinunciando se si è all’oscuro di cosa è stato pianificato. Di sicuro il facilitatore può spiegare l’agenda e i compromessi di una scelta piuttosto che un’altra e chiedere alle persone di votare l’approccio che preferiscono adottare. Questo però costerebbe tempo e (più importante) rischierebbe di interrompere il flusso della conversazione. Male, visto che è esattamente ciò a cui vogliamo dare più tempo.

Un bel dilemma, non è vero? Ma ehi, aspetta! Hai il co-facilitatore a portata di mano! Ma quanto sarebbe meglio se qualcuno che non è responsabile di assicurarsi che nella sessione vengono coperti tutti gli argomenti concordati con gli sponsor 3 mesi, fa potesse percepire che c’è effettivamente bisogno di soffermarsi sull’argomento? Qui è dove il co-facilitatore, con sicurezza e competenza, alza la mano, suggerendo che la conversazione in atto è più importante dell’attività salva-energia che era stata pianificata per gli ultimi 15 minuti di sessione.

2 – Modificare lo spazio

Lo spazio fisico è magico. Permette livelli di interazione inimmaginabili in quello virtuale. Una delle cose di cui possiamo avvalerci è l’abilità di percepire e osservare senza filtri come le persone sono distribuite nello spazio.

Tipicamente, un facilitatore attrae gli occhi di tutti i partecipanti e questo funziona come una sorta di magnete, modificando il bilancio dello spazio in una certa specifica direzione che è orientata verso il facilitatore. Il co-facilitatore, invece, è libero di muoversi nello spazio senza alterare le dinamiche conversazionali. Grazie esclusivamente alla sua presenza, può creare mura invisibili oltre le quali le persone non si avventurano, o rinforzare la presenza di esseri umani in una certa area della stanza.

Perché è importante?
Immagina un partecipante con un carattere molto introverso in piedi in solitaria contro un muro, mentre gli altri partecipanti preferiscono condurre la loro conversazione verso il lato opposto della stanza. Quanta sicurezza e senso di supporto sentirebbe questa persona se tutto d’un tratto sentisse la silenziosa, non invadente ma molto “presente” presenza di un co-facilitatore?

3 – Sentire la temperature (letteralmente)

Il mio primo compito come supporto-educatore è stato quello di tenere d’occhio la temperatura nella stanza (yep, proprio così). Questo ruolo mi era stato dato da un educatore più esperto, in un momento in cui era chiaro che non avrebbe avuto tempo di spiegarmi precisamente cosa intendesse. Ho continuato per ore a domandarmi cosa volesse dire. Durante tutto quel tempo, l’educatore esperto ha continuato a presentare il materiale, apparentemente seguendo un piano predefinito.

Finché, ad un certo punto, mi sono accorto che qualcuno iniziava ad incrociare le braccia, o a mettere su il golfino. A quel punto ho capito: l’aria condizionata era troppo forte e le persone stavano cominciando a sentire freddo. Non il massimo quando vuoi che le persone siano sprizzanti, pronte ad andare in giro per la stanza ed essere attive. Lì è dove finalmente ho capito davvero il mio ruolo. Stavo sentendo la temperatura e, oh yes, faceva proprio freddo!

4 – Sentire la temperatura (figurativamente)

A volte l’aria è condizionata da un getto di aria fredda che è diretto nella stanza. Altre volte sono gli eventi che si dipanano che rilasciano un getto di aria raggelante che va ad abbassare non il term-ometro ma l’umore metro (l’energia e l’umore) di un gruppo.

Immagina un gruppo, durante un workshop, al quale è appena stato detto che un altro dipartimento, strettamente legato al loro, è stato chiuso. O con loro somma sorpresa, hanno appena appreso che il super fantastico party aziendale di Natale che hanno atteso per mesi è stato cancellato per ragioni sconosciute. O magari sei lì e hai appena vissuto un periodo particolarmente fastidioso della tua vita e hai sentito voci secondo le quali tuoi colleghi sanno. Ci sono bisbiglii, mezze parole. Ti senti a disagio, scomodo, un po’ sull’orlo. Sei fisicamente presente lì ma vorresti non esserlo.

Un co-facilitatore ha lo spazio per dedicare il proprio tempo a leggere le espressioni facciali e le menti dei partecipanti. Magari ha la possibilità di connettersi con alcuni partecipanti durante le pause – magari semplicemente essendo presente o aiutandoli a sentirsi più integrati.
I co-facilitatori sono i primi a capire certe situazioni, contesti e circostanze, e questo permette loro di decodificare espressioni. E con quella conoscenza suggerire modifiche in empatia al flusso della sezione.

5 – Lanciare incantesimi di evocazione

Una persona affamata non si può concentrare. Lo stesso vale per chi è assetato. È difficile scrivere senza pennarelli e matite. Analogamente è difficile condurre un sondaggio senza i moduli.

Immagina se acqua, cibo, cancelleria e carta apparissero magicamente quando servono. Immagina se ci fosse una persona nella stanza che, come un mago, potesse lanciare un incantesimo e materializzare qualsiasi cosa fisica che è parte del flusso prestabilito della sessione. O il cui bisogno magari diventa noto soltanto nel momento in cui magicamente appare nella sessione. Immagina.

Un co-facilitatore è quella figura che può rendere ciò realtà.

6 – Alterare il tempo

A volte quando parliamo possiamo perdere traccia del tempo. È qualcosa che sicuramente succede a me, di continuo. Quando entro in modalità raccontastorie posso andare avanti per 10-15 minuti e nella mia mente sembrerà sempre che abbia parlato a malapena per un paio.

I partecipanti sono spesso educati e provano ad ascoltare tutto ciò che viene detto loro e anche quando comincia a sembrare troppo, è improbabile abbiano un modo per capire se sia davvero così o se sia parte del design della sessione.
Il tuo co-facilitatore, invece, sa esattamente quando una sezione sta andando troppo per le lunghe – e può intervenire nel modo più adeguato. Analogamente, il co-facilitatore è lì pronto ad espandere un concetto importante non appena questo sembra venga negletto; o nel caso in cui, leggendo le facce dei partecipanti, questo sembri poco chiaro. Avendo una chiara idea di come sia il resto della sessione, il co-facilitatore può premere a piacere il pulsante di “avanzamento veloce” o “pausa”.

7 – Che musica sia

Della musica può aggiungere un incredibile livello di profondità a una sessione. Anche se è possibile pianificare a priori una serie di canzoni, la vera magia succede quando una canzone viene scelta per rispondere ad un preciso stato emotivo che il gruppo sta attraversando.

Un co-facilitatore può sentire la temperatura della stanza e, quando il momento sembra giusto, può selezionare la canzone più adeguata e cominciare a suonarla senza che nessuno se ne renda conto, finché non sente le prime note.

1/2 – Trasformarsi nel facilitatore

Certe cose succedono. Sei un facilitatore, lo sai bene. Vieni colpito da un’improvvisa ondata di stanchezza, o inizi a confonderti. O improvvisamente hai un vuoto di memoria, proprio quando dovresti essere chiaro e conciso. Dovresti presentare le istruzioni di un’attività e invece eccoti lì, perso. Imperdonabilmente sembri esserti dimenticato di un passaggio chiave del processo che hai disegnato con così tanta cura.
Oppure ti lasci coinvolgere emotivamente in una specifica conversazione a causa del tuo background lavorativo – o perché ti senti attaccato, e tutti ti stanno guardando e.. e.. beh, sbotti e dai una sparata.

Ammettiamolo. Potremmo pensare a un’infinità di ulteriori situazioni in cui sarebbe un’ottima idea cambiare facilitatore. Proprio lì, in corso d’opera. Fluidamente.

Quanto sarebbe comodo se solo nella stanza ci fosse qualcuno con competenze equivalenti, che è già familiare con la struttura, la sequenza e il ritmo della sessione, che ha precisamente chiaro cosa è successo finora e che può, pertanto, assicurare la continuità della conversazione e di tutte le altre variabili? 

Sarebbe tanto comodo, perché ti permetterebbe di lasciare la presa e farti da parte, anche se solo per un attimo, per ritrovare il tuo centro – mentre l’altro entra nel ruolo di facilitatore.

Per scoprire di più sul ruolo del facilitatore e del co-facilitatore.
Per acquisire le loro competenze e conoscere le loro responsabilità.
Per diventare un facilitatore certificato, iscriviti al corso Agile Team Facilitator, a Milano il 12-13 Ottobre.

Francesco ti aspetta.

 

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