La Community of Practice: persone e organizzazione

La Community of Practice: persone e organizzazione

Nell’articolo precedente, abbiamo presentato il concetto di Community of Practice: a partire dalla sua definizione ufficiale, abbiamo ricostruito la storia e analizzato l’utilizzo in contesti aziendali di questa pratica, compreso il ruolo di Agile nel loro sviluppo.

Con l’articolo che segue, entriamo nel cuore di una Community of Practice: analizzandone l’organizzazione e le persone, richiamando i suoi valori fondamentali, considerandone eventuali rischi e benefici consolidati. E condividendo con voi qualche buon consiglio per una CoP efficace e longeva.

 

Come si struttura una CoP: una comunità auto-organizzata

Una Community of Practice è caratterizzata da tre elementi, identificabili nella definizione di ufficiale di Wegner:

  1. Il dominio, quell’interesse o competenza comune che distingue un gruppo da un altro
  2. La comunità, il tessuto sociale che consente l’apprendimento collettivo, favorisce l’interazione e incoraggia la condivisione. Le persone.
  3. La pratica, il repertorio di risorse e idee che i professionisti del gruppo costruiscono e che mantiene il focus condiviso dalla comunità.

I partecipanti ad una CoP

Nell’ambito dell’agilità, spesso, la creazione di una Community of Practice riguarda figure come il Product Owner e lo Scrum Master, più sensibili al processo di trasformazione in atto (per gli altri ruoli aziendali, infatti, il cambio è meno radicale). In questi casi, ottenere la certificazione di Product Owner o Scrum Master non basta per ricevere tutte le conoscenze necessarie a rivestire quel ruolo: qui entrano in gioco le CoP, che permettono di costruire confronti con professionisti del settore e di apprendere tutte le competenze necessarie.

Più in generale, il chi partecipa ad una CoP dipende dalla dimensione dell’azienda e dalla fase del processo di trasformazione in cui essa si trova.

Supponiamo di trovarci nei momenti iniziali di una trasformazione Agile e vediamo due esempi alternativi:

  1. All’interno di una piccola realtà aziendale, la nuova metodologia appare come qualcosa di ignoto e si sa ancora poco o nulla sul come affrontarla. La Community of Practice che si andrà a formare avrà carattere trasversale e coinvolgerà tutti coloro interessati nell’attività di ricerca e scoperta dell’Agile. Successivamente, alcune di queste persone saranno punti di riferimento per la trasformazione aziendale.
  2. Nel caso di una grande azienda, invece, le persone hanno già un quadro d’insieme più chiaro. Sarà però necessario comprendere e scegliere un determinato tema da approfondire nella community. In questo caso, le CoP che si andranno a formare avranno carattere più specifico e saranno centrate su determinati ruoli e problemi condivisi.

Il facilitatore

All’interno di una Community of Practice fatta di persone, una tra loro riveste un ruolo fondamentale: il facilitatore. Si tratta di una figura importante per il supporto e la gestione della Community. Può essere interno, selezionato tra i membri stessi, o esterno, invitato a prendere parte ad ogni incontro; può non essere esperto di Agile. Requisiti essenziali per ricoprire questo ruolo sono la disponibilità e la dedizione alla causa della CoP: il facilitatore deve informarsi, conoscere e fare del suo meglio per servire il gruppo nelle sue necessità.

Un’organizzazione universale

A prescindere dalle varie rappresentazioni e modelli che si vogliono consigliare per una Community of Practice, esistono delle attività imprescindibili per una loro buona riuscita.

  • Una volta creata la Community of Practice, il primo passo da compiere è indagare e definire gli obiettivi e le aspettative del singolo, al fine di costruire percorsi solidi ed efficaci per la collettività.
  • Segue una fase dove vengono messi a fattor comune i dubbi e individuate le soluzioni (usando, ad esempio, l’Intervisione, che è un ottimo strumento di esplorazione dei problemi).
  • Infine, si pianifica insieme un calendario di incontri e inizia, così, il percorso di apprendimento e condivisione.

 

Gli obiettivi di una CoP

Una Community of Practice può nascere per soddisfare diversi obiettivi. Alcuni tra i più comuni sono:

  • Condividere gli apprendimenti conseguiti durante una conferenza: in questo caso, l’investimento nella formazione viene moltiplicato
  • Formare gruppi di studio, per raggiungere una certificazione o approfondire una competenza
  • Istituire una Agile Clinic, dove esporre problemi e soluzioni già testate e cercare insieme ulteriori strade alternative
  • Incontrare ospiti esterni, lavorare insieme e approfondire i problemi legati ad un determinato ruolo
  • Condividere i risultati di un test iniziale e far nascere dei confronti formativi
  • Completare un progetto, passando dal “non c’è, ma vorremmo…” ad un “abbiamo elaborato”

Qualunque sia la ragione di una CoP, prenderne parte è perlopiù una scelta volontaria (anche se è bene ricordare che nelle Community of Practice di genesi top-down tipica delle grandi imprese, la partecipazione può essere obbligata!). La sua gestione è delegata alla comunità stessa, che si auto-organizza coinvolgendo tutti i propri membri; allo stesso modo, l’impegno da dedicare ad una o più CoP dipenderà dal singolo.

Sicuramente, affinché queste formazioni funzionino efficacemente, è necessario che i membri rispettino due requisiti essenziali: disciplina e rispetto per gli impegni presi; partecipazione alle riunioni e ai momenti di confronto.

 

Rischi e benefici, possibili e consolidati

Vantaggi consolidati

Le Community of Practice sono uno strumento che permette di:

  • Creare una rete di supporto per i suoi membri;
  • Accelerare lo sviluppo professionale nelle organizzazioni;
  • Rompere i silos e le strutture a compartimenti stagni;
  • Condividere conoscenza e dare vita a buone pratiche.

Le CoP nascono per promuovere valori elevati che difficilmente conducono a conseguenze negative.

Possibili svantaggi

Ma, come ogni formazione tra persone, anche la CoP meglio intenzionata potrebbe avere degli inconvenienti.

È facile che, prima o poi, qualcuno si interroghi sul costo-beneficio dell’iniziativa…Quindi: come possiamo misurare il suo valore?
Le organizzazioni tradizionali tendono a misurare il lavoro in “ore” e sono tipicamente orientate all’efficienza produttiva (“fare molto con poco”). Il “nº di ore” è un valore obiettivo, facilmente misurabile. Diverso, invece, è il vantaggio derivante dall’apprendimento: non facilmente misurabile, soprattutto nel breve periodo.
In questo senso e per la sua fisionomia, la CoP viene talvolta interpretata solo come un costo aggiuntivo.

La CoP potrebbe procurare qualche preoccupazione alle imprese la cui cultura tende a evitare certi temi, o a nascondere alcuni problemi piuttosto che affrontarli. La schiettezza, la praticità e la volontà di miglioramento che caratterizzano una buona CoP tende a generare trasparenza, un fattore essenziale al miglioramento ma non sempre gradito.

Infine, un problema più di carattere operativo potrebbe essere l’eventuale appesantimento del calendario già fitto di eventi, al quale le persone sono sottoposte.

 

Conclusione e buoni consigli

Il valore aggiunto di una Community of Practice è chiaro, sia per le singole persone che per l’intera azienda. Le CoP promuovono l’apprendimento ed il miglioramento, avvalendosi di valori come autonomia, crescita e condivisione.

Ma affinché possano esprimere efficacemente il loro valore, bisogna rispettare degli accorgimenti, pochi ma essenziali:

  • Meglio non forzare la loro nascita dall’alto: una CoP deve essere una formazione naturale
  • È buona pratica creare nelle persone il bisogno di supporto, uno spazio sicuro e un senso di libertà nel chiedere aiuto
  • È necessario rispettare l’indipendenza e l’auto-organizzazione di ogni gruppo di persone.

La creazione di una Community of Practice fornisce una soluzione efficace per le organizzazioni: per vincere le nuove sfide del mercato e della società, rimanere innovativi e attraenti, essere costantemente aggiornati e riuscire ad adattarsi più velocemente ai cambiamento di mercato. Per diventare organizzazioni che apprendono.

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