Progettare la propria carriera in modo Agile. Talento e ownership (2/3)
20 Settembre 2023

[Questo articolo è il secondo di una serie dedicata ai temi di talento e carriera. Leggi il primo capitolo qui]
Ownership: scelta e responsabilità nella carriera
Dal momento in cui le carriere diventano meno lineari e i percorsi meno predittivi, diventa ancora più rilevante la componente del “poter scegliere” come orientare il proprio percorso professionale all’interno dell’organizzazione. Tuttavia, in un dominio complesso non potremo mai sapere di essere sulla strada giusta finché non “proviamo”. Poter scegliere (ed eventualmente ricalibrare la nostra scelta) richiede che vengano prese delle decisioni in merito a posizione, incarico, inquadramento. Chi le prende?
Ragioniamo su una prima provocazione:
Chi è l’owner della vostra carriera?
Possiamo paragonare la carriera ad un prodotto o servizio che viene rilasciato sul mercato. Quando costruiamo un prodotto o servizio, questo dovrebbe rispondere ad un’esigenza della clientela, aggiungere valore e portare soluzioni a bisogni in continua evoluzione. E siamo ben consapevoli del fatto che, per sviluppare un prodotto o un servizio di successo in un mercato in continua evoluzione, ci sia bisogno di collaborare con i propri clienti e stakeholder e di lavorare insieme.
Allo stesso modo, ogni ruolo – e quindi, ogni carriera – all’interno di un team o di un’azienda dovrebbe aggiungere valore, portare soluzioni e risolvere problemi, accettando sfide e innovando. Progettare ruoli e carriere lavorando in partnership tra persona e organizzazione è l’unica possibilità per puntare alle condizioni che permettono il successo, sia della persona, sia del gruppo di cui fa parte.
La risposta alla domanda più sopra, naturalmente, è noi: le persone sono i product owner della propria carriera. Ma non possono esserlo da sole: come un product owner, ognuno dovrebbe poter lavorare regolarmente al fine di tenere viva l’interazione e la partnership tra sé e il resto dell’azienda con cui collabora: come si fa con gli “stakeholder” di un prodotto o servizio, al fine di raccogliere feedback con frequenza, e mantenere alto il valore offerto da questa collaborazione.
Con queste premesse, si sfuma però un concetto alla base della visione tradizionale della carriera, ovvero quello della performance individuale.
È il momento per una ulteriore provocazione:
Chi è responsabile dello sviluppo individuale e, dunque, della migliore performance?
Negli anni, molti si sono abituati all’aspettativa di un’azienda che agisca come unica responsabile dello sviluppo (anche se spesso si limita alla sola formazione) delle persone e dei dipendenti, in qualità di esecutori delle prestazioni. In funzione di questo “investimento” ci si aspetta un aumento della performance. Ma lo sviluppo individuale, come visto in precedenza, può avvenire soltanto se la persona investe la sua volontà e le sue aspirazioni. Allo stesso tempo, è noto quanto la performance individuale non sia un ingrediente della performance del team o del gruppo di lavoro, o di un progetto: le dinamiche di collaborazioni e le condizioni messe in atto dall’azienda stessa sono più rilevanti della potenzialità dell’individuo. Oggi è quindi necessario ragionare diversamente: l’azienda si deve considerare responsabile di creare quante più opzioni possibili per permettere alle persone di crescere (accumulare esperienze, avere successo, contribuire, formarsi), insieme ad altre persone che, a loro volta, dovrebbero poter evolvere la loro professionalità in base ai bisogni attuali dell’azienda.
La risposta alla provocazione è dunque: entrambi, ossia le persone in collaborazione con la propria azienda. Performance significative si possono ottenere soltanto in condizioni di partnership tra azienda e individui. È questa forse la sfida chiave che le risorse umane dovranno affrontare nei prossimi anni, perché collaborare non vuol dire impostare e pianificare una volta per tutte, bensì dialogare (non solo comunicare): interagire, lavorare insieme e verificare frequentemente lo stato di salute della relazione.
Servono tempo e attenzione.
Nulla di nuovo, se ci pensiamo: l’Agile Manifesto già nel 2001 citava tra i suoi principi: “Business people and developers must work together daily throughout the project”.
Quindi, a cosa ci riferiamo quando parliamo di Talento?
Prima di approfondire l’utilizzo del Talent Canvas, consideriamo qualche definizione di Talento.
Storicamente, le aziende tradizionali hanno un approccio al talento che possiamo definire esclusivo: chi ha talento viene promosso, sostenuto e fatto crescere nell’organizzazione; mentre chi non ha talento, resta indietro. Il talento, in sostanza, esclude chi non ce l’ha.
Questo approccio porta a una possibile conseguenza, ovvero l’omologazione: alle persone di talento viene data la responsabilità dell’inserimento di altre figure, pertanto cercheranno quelle con attitudini culturali e comportamentali simili, con lo stesso mindset. In questo caso, si riduce la possibilità di alimentare una potenziale differenza creativa tra le persone.
Esiste un approccio opposto e per fortuna più diffuso: l’approccio inclusivo al talento. In questo caso, quando parliamo di talento non ci riferiamo a un tratto da riconoscere nelle persone, ma a una possibilità di espressione da rendere possibile: ognuno ha un talento che può essere valorizzato: capire quale sia, e come promuoverlo, sarà compito di tutti, in collaborazione. Questo approccio riconosce il talento come elemento che cambia nel tempo e che favorisce flessibilità davanti alle esigenze di un contesto e di un mercato che cambiano velocemente.
Those individuals who can make a difference to organisational performance, either through their immediate contribution or in the longer term by demonstrating the highest levels of potential.
– Chartered Institute of Personnel and Development
An individual’s talent is the product of ability (competence, education, training and experience), coupled with motivation (engagement, satisfaction, challenge and wellness) and opportunity.
– Van Dijk, 2008
La prima definizione considera l’impatto differenziante che una persona considerata “talento” può apportare in un’organizzazione. La seconda mette l’accento sulle diverse componenti in gioco quando si osserva questa caratteristica. Una ulteriore definizione che tiene conto in modo più marcato anche del sistema in cui la persona agisce, è la seguente:
Il talento è sistemico. Riuscire a definirlo e riconoscerlo richiede un cambio di mindset sia da parte delle persone, che dell’organizzazione. È necessario creare conversazioni tra individui e aziende che mettano in relazione le condizioni di competenza, impegno e le modalità in cui la cooperazione può generare valore per entrambi.
In Agile Reloaded abbiamo adottato un strumento, di cui alcuni già avranno sentito parlare: il Talent Canvas, un modello nato qualche anno fa grazie a un’esperienza HR di Marco Calzolari con alcuni collaboratori, allo scopo di abilitare una strategia iterativa e incrementale (agile) per favorire la promozione di tutti i possibili “talenti” dell’azienda, supportare il raggiungimento della soddisfazione personale e, di conseguenza, il successo delle iniziative aziendali.
Da “People Before Product”, keynote di apertura del Creativity Day 2016
Many years ago, if a customer asked, “What does Matsushita Electric make?” I told my then-young employees to answer, “We make people, and at the same time we make electrical goods.”
Konosuke Matsushita
Fondatore dell’azienda Matsushita Electric Devices Manufacturing Works, diventata poi la multinazionale Panasonic.
Ora che abbiamo considerato tutti gli elementi in gioco – la carriera, la responsabilità e il talento, possiamo passare a come farli dialogare tra loro. Ma di questo parleremo nella prossima puntata.
[Segue]
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