Se la conversazione diventa innovazione. Parte I

Se la conversazione diventa innovazione. Parte I

L’innovazione: non solo tecnologica

Comincio con una constatazione: molti temi trattati alle conferenze e molti contenuti disponibili sul web fanno spesso riferimento al concetto di innovazione. Può quindi sembrare strano affrontare a tal riguardo un tema come quello della conversazione: un tema apparentemente scontato e a volte addirittura guardato con sufficienza.

Eppure, lavorando nelle organizzazioni, ci stiamo rendendo sempre più conto di come la conversazione possa rappresentare un elemento per portare cambiamento e chiarezza. Un elemento, oggi abbandonato a se stesso, che nel momento in cui riconquista valore si trasforma in un’esperienza innovativa.

In questo e in un prossimo articolo tratterò i temi della conversazione, del conversation design e di alcune recenti esperienze concrete in cui abbiamo sperimentato e sfruttato con successo questo approccio nell’ambito dei processi decisionali e produttivi di aziende reali.

 

All’essenza delle organizzazioni

Nella sua essenza, ogni organizzazione è il prodotto del modo in cui i suoi membri pensano e interagiscono. [1]

Come sostenere, partendo da questa considerazione, l’evoluzione del lavoro nelle organizzazioni? Se è vero che i prodotti e il valore che creiamo per i clienti sono fondamentali per le aziende — rappresentando la fonte per il loro sostentamento e la loro crescita in termini pratici —, è anche vero che le aree di pensiero e relazionali rappresentano una seconda faccia della stessa medaglia senza la quale, oggi più che mai, diventa estremamente difficile svilupparsi positivamente.

Se poi consideriamo anche la legge di Conway la quale ci dice che

le organizzazioni che progettano sistemi … sono indotte a generare design che sono copie dei legami nelle organizzazioni stesse

possiamo arrivare a un risultato piuttosto sorprendente, che si riassume nel seguente schema:

la modalità di pensiero e interazione →

→ modifica le organizzazioni → 

→ le quali generano design come copie di se stesse

 

Che tipo di risultati (design) ci possiamo quindi aspettare da gruppi e organizzazioni in cui usiamo una forma di linguaggio basato su metafore che fanno riferimento a noi contro gli altri, ring su cui avere incontri di boxe, trincee?

Numerosi autori, tra cui Robert Kegan, ci insegnano come

i modi di parlare che abbiamo a disposizione regolino le forme di pensiero, sentimento e creazione di senso a cui abbiamo accesso, che a loro volta vincolano il modo in cui vediamo il mondo. [2]

Le parole e i discorsi non sono solo suoni che si perdono nel vuoto, ma tasselli che vanno a comporre un quadro molto più ampio e con un impatto capace di toccare una profondità molto più significativa.

Attenzione, a forza di parlare di cadaveri per strada e bagni di sangue, potreste ritrovarvi a rilasciare prodotti che assomigliano molto a queste espressioni.

 

Che cos’è la conversazione?

Mi capita spesso di proporre questa domanda alle persone con cui lavoro o che incontro durante i nostri workshop. Sovente le risposte convergono sul fatto che ci sia una bi-direzionalità nella comunicazione o che almeno venga considerato il punto di vista di chi è coinvolto.

La conversazione, colloquio garbato tra più persone e sinonimo di dialogo, è un’interazione verbale che presuppone cooperazione tra i partecipanti. [3]

Wikipedia, nella semplicità delle sua definizione, include un elemento chiave ovvero il presupporre cooperazione. Nel mondo Agile, o più in generale nelle aziende che stanno affrontando un processo di cambiamento, si parla spesso di collaborazione, cooperazione e addirittura di co-creazione. Quale ruolo ricopre il modo in cui parliamo? Quale consapevolezza abbiamo sulle nostre modalità? Ne osserviamo le conseguenze?

 

Che cosa è il Conversation Design (almeno per me)

Chiunque di noi cerchi in rete conversation design, troverà un numero piuttosto elevato di pagine Google che fanno riferimento alla progettazione dell’esperienza uomo-dispositivi basata sulla conversazione.

Per me conversation design parte invece da una delle possibili definizioni di design:

Design means making things better tomorrow than they are today [4]

Fare quello che faccio significa progettare e supportare conversazioni, nei team e nelle organizzazioni, che siano migliori di quelle precedenti, che offrano risultati migliori, più utili e più significativi, per le persone e per le organizzazioni stesse.

Le conversazioni sono di per sé gli elementi alla base di ogni cambiamento significativo. Sia esso un cambiamento personale o di un gruppo di persone, dalla notte dei tempi le conversazioni hanno stimolato, favorito e coltivato la nascita di qualcosa di nuovo. Progettare conversazioni ha per me proprio l’obiettivo di fornire occasioni di scoperta e sorpresa, due ingredienti indispensabili per ogni processo di rinnovamento.

 

Come si parla di solito in azienda?

Tante chiacchiere, ma nessuna conversazione
(S. Johnson)

Molto spesso nelle aziende ritroviamo due modalità principali di dialogo. Da un lato quella basata su conflitto e ricerca di vittoria sull’altro. Sono più che frequenti le occasioni in cui tutti noi assistiamo a, o siamo personalmente coinvolti in, riunioni o discussioni in cui l’obiettivo principale è quello di dimostrare la superiorità della nostra ipotesi. La vittoria dell’idea rappresenta l’obiettivo principale invece che la più utile scoperta o definizione di una soluzione migliore, forse ricercabile oltre le posizioni che stiamo difendendo. Il mito dell’avvocato e della sua arringa prende spesso il sopravvento.

Dall’altra parte troviamo la quasi onnipresente lamentela, arricchita da un’elevata dose di pessimismo e fastidio. Sappiamo però che la lamentela può vivere e sopravvivere solo quando supportata da passione e cura di quello di cui ci stiamo lamentando. Difficilmente ci lamenteremo di qualcosa di cui non ci importa assolutamente nulla.

Come possiamo trasformare questa energia sprecata in qualcosa di positivo e favorevole? Come possiamo trasformare o far evolvere le battaglie da sala riunioni in qualcosa di costruttivo?

 

Il potenziale della conversazione

Ci sono alcuni principi che mi guidano quando progetto degli interventi basati su conversazioni di valore. Derivano in parte dal mondo dell’Appreciative Inquiry, ossia quella metodologia che per esplorare opzioni e soluzioni efficaci mira a spostare l’attenzione dai problemi a quanto già c’è di buono nella situazione attuale. Questi principi mi aiutano non tanto per il formato di facilitazione quanto come guida teorica di riferimento.
All’inizio dell’articolo ho detto che il linguaggio regola le forme di pensiero, di senso e la nostra visione del mondo. La sua forza non finisce qui in quanto è proprio la nostra visione del mondo che regola i nostri comportamenti.

Creare occasioni in cui modifichiamo la forma del linguaggio ci permetterà di innescare modifiche, in meglio, dei comportamenti nelle organizzazioni. Se sono convinto che il mondo sia pieno di impostori, che ad ogni momento cercheranno di fregarmi, metterò in campo tutta una serie di comportamenti congruenti con questa visione. Questa visione è proprio alimentata e rinforzata dal nostro linguaggio.

Le domande che poniamo, e ci poniamo, non sono mai neutrali

Le domande modificano i sistemi su cui ci si sta interrogando: ci spostiamo senza rendercene conto nella direzione delle tematiche su cui ci si confronta con più passione ed energia. Di conseguenza le domande che affrontiamo — o che proponiamo — avranno già al loro interno un potenziale per guidare il cambiamento.

Che differenze ci possono essere in un gruppo di lavoro che si interroga, con passione, sulle conseguenze dei comportamenti? Che effetto può avere su una persona porsi delle domande sul proprio potenziale o sui punti di forza che lo distinguono dagli altri?

Ciò su cui ci concentriamo cresce

Tutti noi siamo soggetti ai bias cognitivi. Questi limitano il nostro campo visivo incidendo, spesso negativamente, sui nostri punti di vista e sulle nostre scelte. Se ci concentriamo sui problemi, questi cresceranno o tenderanno ad assumere un ruolo sempre più importante e centrale.

Scegliere con cura parole e argomenti ci permette di orientare il pensiero verso nuove possibilità. Recentemente un’amica mi ha fatto notare “ti stai concentrando solo su ciò che ti manca invece che su tutte le risorse che hai già a disposizione”. L’effetto su di me è stato equivalente a una secchiata di acqua in faccia.

Siamo guidati dalla nostra immagine del futuro

Quello che crediamo avverrà più avanti nel tempo influisce su quello che facciamo oggi come individui, team o organizzazioni. Le conversazioni che progettiamo offrono la possibilità di creare una vista nuova da cui partire per affrontare azioni e esperimenti diversi.

Un’immagine significativa del futuro funziona come propulsore per i nostri comportamenti. Riuscire ad avere un’idea sufficientemente chiara, e perchè no eccitante, del nostro futuro, ci permette di definire al meglio le possibili azioni che possono indirizzarci verso quell’obiettivo.

Per fare un esempio in linea con questo articolo, il fatto che io sia assolutamente convinto che la conversazione sia un elemento chiave per le organizzazioni, e che riesca ad immaginare un numero considerevole di aziende in cui le conversazioni hanno ottenuto nuovamente un ruolo degno di nota, mi porta a mettere in pratica tutta una serie di comportamenti che, in definitiva, possono contribuire al raggiungimento della mia idea di soddisfazione o successo.

 

Un sistema di riferimento

Partendo da queste considerazioni, nel tempo, ho sintetizzato un approccio personale con almeno tre aree da cui parto per progettare gli interventi e le conversazioni che, come ho sottolineato, ne costituiscono l’ingrediente principale.

Uno spazio per l’ascolto

Uno dei feedback che spesso riceviamo è “finalmente ho avuto un’occasione per essere ascoltato”. Sfruttare l’ascolto, dare spazio all’ascolto costituiscono quindi uno degli elementi centrali per stimolare conversazioni di valore che possano generare nuovo senso e significato. Mi piace ripetermi: “creare uno spazio di vuoto… che possa essere riempito con nuovo valore”

Sfidare lo status quo

Molte delle domande che progettiamo e suggeriamo come “inneschi” alla conversazione mirano ad ampliare la prospettiva, mettere in crisi le certezze o esplorare temi che diamo per scontati, ma che probabilmente proprio scontati non sono. Cambiare qualcosa senza cambiare nulla è ovviamente impossibile. Spesso le nostre domande costituiscono la base di questa sfida.

Lavorare attraverso livelli differenti

In molte occasioni parlando di relazioni, rapporti, comportamenti, ho adottato tecniche e approcci che andassero a stimolare livelli differenti di coinvolgimento, comunicazione e partecipazione. Mi piace pensare ai workshop come jam session in cui ogni partecipante, incluso me stesso nel ruolo del facilitatore, abbia il compito di gestire il ritmo e l’intensità di quanto stiamo suonando.

 

In conclusione

Nei prossimo articolo inizierò a raccontare alcuni casi pratici in cui io e i miei compagni di avventura abbiamo concretamente usato il conversation design per stimolare chiarezza, consapevolezza e cambiamento.

 

Bibliografia e riferimenti

  • [1] P. Senge, A. Kleiner, C. Roberts, R. Boss, B. Smith, The Fifth Discipline Fieldbook: Strategies and Tools for Building a Learning Organization. Nicolas Brealey Publishing, 1994
  • [2] R. Kegan, L. Laskow Lahey, How the Way We Talk Can Change the Way We Work: Seven Languages for Transformation. Jossey-Bass Inc Pub, 2000
  • [3] La voce “conversazione” su Wikipedia
    https://it.wikipedia.org/wiki/Conversazione
  • [4] Il sito di Daniel Stillman
    https://www.danielstillman.com/

 

 

 

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